La conoscenza è il vero potere, vecchia storia…
Per cui la conoscenza e i suoi “derivati”, informazioni e competenza, è utile trattenerla per sé o per il proprio gruppo di appartenenza o, viceversa, è utile diffonderla.
Ne deriva che le tecniche di diffusione della conoscenza esistono da sempre, solo che adesso hanno questo nome che sa di raffinata tecnologia e inarrestabile progresso.
In ogni caso con l’avvento dell’informatica e di tutti gli strumenti che essa ha generato, il KNOWLEDGE MANAGEMENT ha assunto rilievo di disciplina vera e propria.
Ma in quanto disciplina le aspettative crescono, e i managers confidano nello strumento certe volte in modo perfino fideistico, nella speranza che semplifichi e migliori l’efficienza di un processo complesso necessario a tutte le aziende: diventare più competitivi attraverso il miglioramento delle performances delle persone che lavorano nell’organizzazione. Dici poco!
Gianluca, come manager – e perché no, anche come studioso di epistemologia – quale pensi sia al momento lo stato dell’arte del Knowledge Management? Ovvero, risolve effettivamente un’esigenza delle aziende?
Gianluca Fuser:
“Vittorio, mi trovo a ripetere cose già dette da altri, prima e meglio di come posso fare io. All’interno delle aziende, senza alcun dubbio, trasmettere le conoscenze è un’esigenza reale e necessaria.
Perché? secondo me le ragioni centrali sono due:
la prima è che nelle aziende lavoriamo in modo settoriale, io faccio le cose del commerciale, tu fai quelle della comunicazione; sembrano essere cose distinte ma – in modo molto semplificato – ci sono delle aree di sovrapposizione della conoscenza: se tu non sai i dati di vendita, non puoi comunicare al mercato che siamo leader nel nostro settore e se io non so cos’hai scritto sui giornali o cosa scriverai domani non posso strutturare l’offerta in modo coerente all’immagine che promuovi. Abbiamo bisogno di sapere come e cosa fanno gli altri, i colleghi.
La seconda ragione è che nelle aziende le persone si susseguono all’interno dei reparti e dei ruoli. È opportuno che chi viene dopo possa usufruire della conoscenza di chi c’è stato prima e ha costruito dei fatti organizzativi: modi efficaci di fare le cose, modelli, procedure, ricorrenze periodiche, e compagnia bella.
Sono cose ovvie, direi; e, come hai detto tu, si fanno da sempre: negli anni ’80 il mio primo capo aveva la “libretta” nera con le regole per scrivere “bene” le procedure in Pascal; nell’ufficio avevamo un bello schedario con gli indici dei programmi scritti per ogni progetto, con i relativi commenti di programmazione; quando ho iniziato sono stato affiancato da un senior per un mese – prima guardavo, poi provavo, poi – forse capivo; io lavoravo sui protocolli di comunicazione tra computer centrale e casse (quelle del supermercato!) e sapevo dove trovare il database articoli e prezzi strutturato dal mio collega – me l’aveva mostrato lui con tutti particolari e con le indicazioni per capire quando veniva cambiato. Si è sempre fatto, quindi, ma richiede tempo, fatica e dedizione. Che sono preziosi!
Viene da dire, quindi: sia benedetta qualunque cosa che mi permette di fare questi passaggi di informazioni sempre bene e in fretta (contrariamente al noto proverbio).
Ecco, la soluzione sembrerebbe essere il concetto del KNOWLEDGE MANAGEMENT, con alcune delle sue applicazioni pratiche: Knowledge Base, Search Engine, Collaboration System, Workflow Management System. Strumenti bellissimi e quasi non più di moda che quando li nomini evochi mondi di squisita perfezione organizzativa.
In realtà, a mio avviso, il concetto di Knowledge Management è un mito aziendale: com’è inteso in molte aziende e organizzazioni non ha gli spazi di applicazione pratica attesi e non mantiene la promessa di efficacia ed efficienza che evoca.
E questo a causa di alcuni presupposti che traballano, di aspettative fuori misura, di pretese di sostituzione di attività con marchingegni, di difficoltà che si generano nell’uso pratico di questi strumenti – difficoltà che ne possono neutralizzare la funzionalità e i benefici.”