Le ultime news pubblicate in questa apposita sezione del sito hanno riguardato, giocoforza, gli sconvolgimenti dovuti alla crisi Covid.
Come si è riorganizzata PMC, con quali impatti sull’organizzazione del lavoro e sulle persone. Abbiamo anche dato conto di una breve indagine volta a captare segnali e sensazioni dai lavoratori in smart working, con l’intento anche di dare insight utili per i manager che siano alle prese con questa problematica (vedi articolo “Che bello lo smart working”)
Vogliamo ora soffermarci con maggior attenzione sulla questione ‘persone’. Ovvero come si comportano le persone (lavorativamente parlando) in questa situazione profondamente cambiata dal punto di vista organizzativo e di stress esogeno.
Ne parliamo, come sempre, con il direttore commerciale di PMC, Gianluca Fuser.
Gianluca, a quasi due mesi dall’inizio della crisi, come hai visto cambiare le persone che lavorano insieme a te? Ammesso che ci sia stato qualche cambiamento.
Vittorio, come ti dicevo in un precedente colloquio, sin dall’inizio ho visto una grande partecipazione, proattività e direi anche generosità nell’adattarsi alle nuove condizioni di lavoro. E confermo che il trend resta questo, positivo. Tuttavia, rispetto a quando ne abbiamo parlato la prima volta (vedi articolo “Noi ci siamo”), sono passate diverse settimane e adesso posso constatare qualcosa in più.
Vale a dire che in una situazione che ha anche elementi di maggior complessità lavorativa, alla lunga si può vedere la vera natura delle persone. Cioè, le persone di qualità e più coinvolte nel progetto stanno mantenendo tutte le caratteristiche di proattività e collaborazione, mentre altri… come dire, un po’ si defilano, oppure danno segni di nervosismo.
Beh, credo che questo sia un processo del tutto naturale. Ma cosa rimane alla fine di questo processo?
Sarebbe banale risponderti che un domani saprò su chi contare nei periodi più complicati. Diciamo che tutto questo aiuta a conoscere di più le persone e conoscere anche i lati di vulnerabilità è utile per chi come me ha notevoli responsabilità nell’andamento dell’Azienda.
E d’altra parte vale anche la reciprocità; anch’io ovviamente sto lavorando in condizioni diverse dalla normalità della vita in ufficio e quindi anch’io – immagino – potrò essere percepito dai miei collaboratori in modo diverso dal solito. Insomma, ci stiamo misurando a vicenda su un piano diverso e più complesso e questo ci svela più nel profondo, sotto lo strato superficiale che ognuno di noi indossa nelle relazioni umane.
Se capisco bene ciò che mi stai dicendo, la crisi porta ad una conoscenza più vera e quindi, almeno per quello, a qualcosa può essere servita.
Sì, diciamo di sì, per il futuro ci portiamo con noi un bagaglio di maggiore consapevolezza che, come insegna Sartre e canta Battiato, apre nuove opportunità. Ma, fammelo dire, per un bel po’ possiamo fare volentieri a meno di ulteriori consapevolezze da crisi!
Indubbiamente… passiamo ad un’altra domanda Gianluca. Hai visto anche tu che dalla piccola indagine che abbiamo fatto sul lavoro da remoto vengono fuori chiaramente due questioni. Un elemento positivo, la maggior comodità, e un elemento negativo, la mancanza della ‘relazione fisica’ con i colleghi. L’essere umano è sociale, ha bisogno di relazione, scambio (con qualche eccezione). Non credi che il vero pericolo del lavoro da remoto, insomma, della solitudine lavorativa, alla lunga sia un processo di demotivazione e stanchezza?
Assolutamente! Oggi tutte le persone che lavorano da casa, me compreso, sono motivate e determinate a far andare bene le cose, per sé stessi e per la comunità lavorativa in cui vivono. Ma un domani che non so quantificare, sono certo che senza il contatto umano, piano piano il rendimento lavorativo andrà a scemare. La relazione, il confronto, anche la convivialità, la battuta, sono indispensabili per mantenere alta la motivazione. E le video call aiutano ma non possono sostituire la ricchezza del vero contatto umano.
Voglio portare un esempio concreto, il lavoro da casa io lo percepisco come ‘solo lavoro’. Performance con un benchmark su sé stessi. Il lavoro in ufficio, fianco a fianco di colleghi, diventa stimolo e arricchimento. Di questo sono fermamente convinto.
Anche le persone di scienza, anche i filosofi – che immaginiamo i primi chiusi in laboratorio, gli altri chini alla scrivania da soli e in silenzio – non fanno altro che parlarsi, scriversi, incontrarsi!
Al lavoro da remoto, anche prima della crisi, stavano pensando molte aziende e molte lo hanno implementato in una certa misura. La situazione odierna ha solo dato una brutale accelerazione a un processo a cui pensavano già in tanti e che ha dei vantaggi. Ma non si può pensare che un domani i luoghi di incontro e aggregazione delle persone che lavorano nella stessa organizzazione spariscano.
Ci sono imprese di assoluta eccellenza – fino dagli anni ’90 – che valorizzano l’incontro delle intelligenze e che hanno adottato il metodo degli uffici a geometria variabile, degli spazi comuni, della generazione di opportunità di scambio di idee e – anche – di sole poche parole.
Non è pensabile un’azienda senza contatto fra le persone, le relazioni sono il nutrimento della crescita umana e farne anche parzialmente a meno sarebbe una perdita veramente catastrofica, per gli individui e per le organizzazioni.
Questa è la convinzione più forte che porto con me dall’esperienza smart working.
Grazie del contributo Gianluca.