STIAMO ANDANDO VERSO IL FUTURO IN ORDINE SPARSO O CON QUALCHE IDEA CONDIVISA?
SEGUITECI IN QUESTE BREVE ESPLORAZIONE DI FUTURO POSSIBILE E NON VE NE PENTIRETE!

Nelle ultime news pubblicate abbiamo parlato di come le aziende hanno reagito ai cambiamenti imposti dalla pandemia. E naturalmente abbiamo raccontato soprattutto di come ha reagito PMC Plus, sia dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, sia per ciò che concerne la reazione delle persone ai cambiamenti.
Oggi proviamo a ampliare un po’ lo sguardo su come potrà essere la società di domani, cercando di sintetizzare il pensiero di un manager, di un “imprenditore filosofo”, di un economista poco allineato e di un notissimo sindacalista.
Cercando di capire se sulla crisi, osservata da punti di vista assolutamente diversi, ci possono essere delle visioni comuni o quanto meno compatibili.


In un’intervista data a Affari Italiani il 19 maggio scorso, Alberto Bigi, Chief Innovation di Sorgenia, parla di come la sua azienda ha reagito alla crisi.
Riportiamo integralmente il passaggio che ci sembra più significativo:

Lo scoppio della pandemia di Coronavirus è stato un evento drammatico che porterà con sé molte ripercussioni ma vorremmo non perdere ciò che di positivo abbiamo imparato durante l’emergenza. Il nostro modo di lavorare cambierà radicalmente e sfrutteremo al meglio l’esperienza del lavoro agile, che intendiamo mantenere anche in futuro. Lo smart working ha dato ottimi risultati, imputabili anche a un percorso fondato sulla centralità dell’individuo che abbiamo avviato tempo fa e che punta sull’autonomia e sulla responsabilizzazione dei dipendenti

RISULTA EVIDENTE COME QUESTO PASSAGGIO SIA ASSOLUTAMENTE IN ACCORDO CON QUANTO DETTO DA PMC CIRCA LA PROPRIA ESPERIENZA DI LAVORO DA REMOTO

(vedi articoli “Persone”, “Che bello lo smart working”, “Go smart”)

Cambiamo completamente settore e passiamo ad un’intervista data da Carlo Petrini, inventore di Slow Food (che non è solo un’azienda, è anche un modo di concepire la vita) e dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, a Repubblica nel marzo scorso.
Anche in questo caso riportiamo il passaggio dell’intervista che ci sembra più significativo:

Ci apprestiamo a vivere un periodo complesso e per molti versi ancora indecifrabile, in cui le categorie con le quali siamo abituati a leggere la nostra realtà sociale ed economica verranno minate e dovranno giocoforza essere riconsiderate. Eppure non dobbiamo cadere nel panico o nella paura irrazionale, al contrario possiamo lavorare da subito per reagire con prontezza, per trovare modi creativi per rispondere alla crisi, per provare a guardare al futuro con una ragionevole e ben riposta speranza. Questo è possibile a patto che riconosciamo una delle evidenze più chiare che ci restituisce il momento storico attuale: l’estrema fragilità del nostro modello economico e della nostra società occidentale. La crisi ci sbatte nuovamente in faccia la disuguaglianza sociale ed economica che è alla base del nostro sistema, in cui un top manager d’azienda o un calciatore percepiscono fino a mille volte di più di quanto guadagna un insegnante precario, in cui la precarizzazione del lavoro e l’erosione pluridecennale della spesa pubblica hanno colpito le categorie più vulnerabili della popolazione esponendole all’alto rischio di trovarsi a pagare il prezzo più alto della crisi. Una società con queste disuguaglianze non ha futuro, ma da questa consapevolezza si può partire per ricostruire meglio, per tutti, provando finalmente a ribaltare paradigmi ingiusti.

Riteniamo che questo messaggio non possa essere derubricato a “libro dei sogni”. Petrini pone un tema reale e fortemente sentito già prima della crisi, tema che diventa ancor più importante e ineludibile oggi.
Lo sviluppo futuro non può che andare nella direzione della maggior equità sociale e della sostenibilità, intesa nel senso più ampio della parola, pena un imbarbarimento dei rapporti sociali in un tutti contro tutti che sarebbe disastroso (e di cui si percepiscono segni in molti paesi occidentali).
Registriamo anche un parere del professor Stefano Zamagni, economista poco allineato, riscopritore dei concetti dell’Economia Civile (concetti nati in Italia con Antonio Genovesi e Gaetano Filangeri nel XVIII secolo), una visione dell’economia che – semplificando molto – afferma che il fine dell’agire economico deve essere il “bene comune”, che può essere: quello dell’impresa e di tutti i suoi stakeholder; quello di tutta la società in cui opera l’impresa; quello dell’imprenditore e dei dintorni del suo agire; quello di tutti i lavoratori; quello di un intero comparto industriale; in poche parole qualcosa di più ampio dei soli azionisti.

In questo passaggio di una sua intervista a L’Osservatore Romano dell’aprile scorso, Zamagni parla di alcune sfide importanti che ha di fronte il Paese per ripartire:

“… Un punto fondamentale è quello della deburocratizzazione. Nessuno ha l’onestà di dire che la burocrazia c’è per colpa di tutti i partiti politici, e sottolineo tutti, che l’hanno creata a colpi di leggi a partire dagli anni ’80 del secolo scorso in poi (il miracolo economico precedente si è potuto verificare proprio in assenza di questo genere di ostacoli).
La burocrazia la si tiene in vita in virtù di quella che viene definita la rentseeking: non è altro che uno strumento per mantenere o estrarre rendita. Ecco, bisogna far partire una lotta senza quartiere contro le posizioni di rendita che si annidano nella burocrazia. Anche perché per mantenere il burocrate, per giustificare il suo stipendio, l’unico modo è fargli produrre carte su carte, in un processo autorigenerativo.

Altro punto fondamentale è quello del tasso di imprenditorialità, che in Italia è calato molto: muoiono molte più imprese di quante ne nascano, e quando dicono “muoiono” mi riferisco anche a quelle che passano di mano ad aziende francesi o tedesche pur mantenendo il marchio formalmente invariato. C’è differenza fra imprenditorialità e managerialità. In Italia ci sono tanti bravissimi manager, abbiamo ottime e numerose business school. Il problema è che mentre il manager ha bisogno di tecnica, l’imprenditore ha bisogno di cultura, di alta cultura. E qui le nostre università hanno delle colpe, sfido chiunque a dimostrare il contrario.

Infine c’è la questione della “tassazione promozionale”, quella che gli inglesi definiscono Optimal taxation theory: le tasse le deve pagare soprattutto chi ha rendita, non chi produce valore. Se questo facesse parte di un programma elettorale scommetto che la gente lo voterebbe in massa. Mi piacerebbe sapere cosa hanno da dire su questo punto i grandi fautori della meritocrazia…Se si fosse realmente meritocratici si dovrebbe essere d’accordo. Ma bisogna intervenire subito. Serve un think tank composto da esperti indipendenti, che abbiano a cuore le sorti del paese e che nel termine di tre mesi siano in grado di elaborare un progetto.

Registriamo infine il parere di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, che in un articolo apparso lo scorso 18 maggio su Repubblica a commento di una ricerca effettuata dal sindacato italiano sui lavoratori in smart working, lamentava tutte le problematiche familiari che questo può creare.
Ma la sua non è una bocciatura del lavoro da casa, posto che circa il 60% dei lavoratori hanno auspicato la prosecuzione di questa esperienza lavorativa anche a fine crisi. Quello di Landini è un accorato appello alle aziende (e non potrebbe essere altrimenti, dato il suo ruolo) ad una seria regolamentazione delle procedure.

Ebbene, alla fine di questa carrellata sul pensiero di alcuni attori della vita pubblica italiana, quali sono i fili conduttori che possiamo ritrovare in questi interventi di persone così diverse per formazione e attività?

A noi sembra che siano abbastanza chiari:

DA QUESTO PERIODO SI USCIRÀ SOLO METTENDO LE PERSONE AL CENTRO DEL “PROGETTO” AZIENDALE E, PIÙ IN GENERALE, DELLO SVILUPPO ECONOMICO,
SMANTELLANDO L’IMPALCATURA DI LACCI E LACCIUOLI STRATIFICATI IN ANNI E ANNI E VALORIZZANDO LE CAPACITÀ E LA CREATIVITÀ DELLE PERSONE,
RIPENSANDO A DEI MODELLI DI VERIFICA DELLA PRESTAZIONE CHE CONSENTANO DI CONTEMPERARE L’AUTONOMIA DEL LAVORATORE DA REMOTO CON LA PRODUTTIVITÀ DI CUI NECESSITA L’AZIENDA.

Quindi le tecnologie e le regole al servizio delle persone e non come troppe volte è successo e succede, il contrario.
E uno sviluppo che sia rispettoso della dignità umana. Una sfida enorme ma assolutamente possibile se i Paesi si muoveranno regolamentando la competizione economica con norme uguali per tutti che non permettano sacche di sfruttamento.

ETICA, SEMPLIFICAZIONE E BUSINESS DEVONO RINFORZARSI A VICENDA, D’ALTRA PARTE, SE NON ORA, QUANDO?