Come un’efficace presa in giro può innescare una riflessione su un problema che è di lavoro (ma non solo)
Ecco un divertente filmato inglese che prende in giro i meccanismi e le logiche del Customer Selling Process messo in atto dai contact centre e dai Servizi Clienti dei siti di e-commerce.
E dal successo che sta ottenendo il filmato, si può facilmente dedurre che gli autori abbiano toccato dei “nervi scoperti” dell’esperienza delle persone a contatto con questo genere di processi che regolano la relazione con le aziende mediata dai contact center.
Certo, gli autori del filmato magari hanno esagerato per esasperare in chiave comica i paradossi e le rigidità, però… Però cosa?
La verità è che è molto facile ritrovarsi nel racconto del filmato!
La ripetizione ossessiva e snervante della raccolta dati (quante migliaia di volte abbiamo detto chi siamo, dove abitiamo, quando siamo nati, agli ineffabili e incolpevoli addetti al Servizio Clienti con cui parliamo?), le immancabili formule stantie di gentilezza (in che cosa posso esserle utile? Andava bene dieci anni fa, forse, oggi non si può veramente più sentire).
Ma soprattutto, il problema dei problemi: il rimbalzo da un servizio ad un altro, da un operatore ad un altro, senza aver risolto nulla, per poi ricominciare daccapo sempre più esasperati.
Di chi è la colpa di tutto questo? E come si rimedia? Come si rendono i servizi più fluidi, più semplici, ma soprattutto, più efficienti per il cliente? Evitando organizzazioni con costi esagerati e salvaguardando la redditività delle commesse.
Io penso che il fattore chiave sia doppiamente umano.
Mi spiego: in primis riguardo a chi progetta il flusso logico di questi processi – e mi risulta che si tratti ancora di esseri umani, seppure aiutati da software vari – e poi, riguardo a chi lavora al front office di questi servizi (mi verrebbe da dire “al fronte” di questi servizi), ovvero al personale con cui con frequenza ci interfacciamo per chiedere informazioni, farci aiutare in un processo, comprare un prodotto e quant’altro, nella nostra vita “digitale”.
Questo tema lo avevamo già introdotto nella nostra news di dicembre scorso dal titolo “Do desperate housewives dream of artificial intelligence?” che parlava anche di chatbot.
Ci torniamo adesso sentendo il parere di Gianluca Fuser, che in PMC per il suo ruolo ha a che fare tutti i giorni con queste problematiche.
E allora la domanda è: Gianluca, ogni volta che con un call center o una live chat entriamo nel loop dei problemi non risolti ci viene da dire “io l’avrei progettato meglio!”, siamo presuntuosi noi utenti che non capiamo le difficoltà di sistematizzare le richieste, oppure effettivamente si potrebbe fare di meglio?
Vittorio, quanto hai ragione! Però io allargherei ulteriormente il discorso, che non si limita ai call center, e parte da ancora più lontano nel fenomeno di digitalizzazione della nostra vita, ovvero dall’utilizzo di siti con cui interagire.
E il video ci dice in sottotesto – secondo me – due-tre mila cose che hanno a che fare con l’importanza di essere assistiti durante operazioni di self-service sui siti web, con il ruolo dell’automazione, con l’analisi delle domande fatte da chi usa i self-service, con i processi e le procedure in cui vengono collocate le persone che danno assistenza e – infine – con la competenza di queste persone.
Provo a sintetizzare cosa leggo in quel video:
Le aree web self-service (e-commerce o portali clienti che siano), per la maggior parte sono fatte male, una minoranza sono fatte abbastanza bene e pochissime sono fatte veramente bene: il cliente medio (me compreso), imbranato, di fretta e poco propenso a sforzarsi per capire, si innervosisce in fretta e non arriva in fondo all’operazione che voleva fare.
A quel punto, che arriva molto presto, la speranza del cliente è di non aver perso soldi e di trovare chi lo aiuta, magari una voce umana!
Quindi è molto più che importante, è necessario! che in un sito self service ci sia l’opzione per avere assistenza.
Ma spesso l’aiuto arriva da una chat automatica che per “capire” la richiesta fa delle domande per veicolarmi verso il ramo giusto del flusso informativo (Natural Language Understanding), in un paradossale cambio dei ruoli: io che ho bisogno di risposte devo rispondere!
I problemi nascono quando chi progetta il flusso procedurale per l’intervento umano, imita il funzionamento di un software. Il paradosso comico del filmato sta tutto qui! L’uomo che si comporta come una stupida (limitata) macchina.
Quando va in questo modo è una catastrofe, il cliente si sente preso in giro, l’assistente è svilito e si perdono, nell’ordine: la flessibilità, l’efficacia, il cliente stesso!
E allora è chiaro che il servizio deve dare spazio alla parte migliore “dell’essere umani”, ovvero l’intelligenza (capacità di capire), l’esperienza (competenza per risolvere) e la sensibilità (capacità di adattare il proprio comportamento all’interlocutore). (*)
Insomma, Gianluca, se capisco bene, effettivamente si potrebbe fare di meglio! E allora, banalmente, perché non si fa?
Certo che sì:
si può strutturare una assistenza veloce, competente ed efficace, miscelando (poca) automazione con (tanta) competenza umana;
si può selezionare bene e formare benissimo il personale che fa il Customer Care;
si possono fare procedure tecnologiche a prova di bomba ma anche far acquistare sui siti con una “wildcard” da ospiti e saper rinunciare alla profilazione del cliente di passaggio o al primo acquisto;
si può dare valore all’esclusiva capacità del vivente di formarsi un’ideale di “altro” con cui trovarsi allo specchio e al cui modo d’essere adattarsi, senza tuttavia perdere la propria caratteristica identità…
Ti fermo. Tutto quello che hai detto è molto logico ma concretamente non dev’essere poi così semplice da fare, se si fa così poco…
si fa poco, temo, perché costa ed è faticoso. perché troppi – nel nostro settore – pensano che l’automazione sia la panacea che abbatte i costi e migliora la customer experience, che non è vero! perché – in sostanza – non vogliono ammettere che la qualità si genera mettendo il Cliente a contatto con persone brave, serie, consapevoli. Che una buona Customer Experience non può che passare attraverso il dialogo con persone che hanno “un concetto di intersoggettività ideale”.
difficile? no, naturale! questa cosa è ciò che sviluppa ogni bambino tipico durante la crescita e che poi si consolida in modo identitario con l’esperienza di vita.
Questa cosa è del vivente (dell’uomo e basta, dicono alcuni; anche degli animali non umani, dicono altri), sicuramente non (ancora) della macchina o della procedura deterministica.
(un ringraziamento ad Andrea Zhok e Gianfranco Mormino, dell’Università degli Studi di Milano, che generano stimoli e hanno avuto voglia di confrontarsi con me su questi temi)